Relatori convegno 30 marzo

SALVATORE SETTIS

Professore Emerito Scuola Normale di Pisa

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Nato a Rosarno (Rc) nel 1941, Salvatore Settis ha diretto a Los Angeles il Getty Research Institute (1994-99) e a Pisa la Scuola Normale Superiore (1999-2010). È stato Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali (2007-2009) e tra i founding members di European Research Council. I suoi interessi di ricerca includono temi di storia dell’arte antica e post-antica, nonché di orientamento e politica culturale. Ha curato alcune opere collettive, fra cui Memoria dell’Antico nell’arte italiana, voll. 1-3, Torino 1984-86, Storia della Calabria antica, Roma 1987-1991, Civiltà dei Romani, Milano 1990-1994, I Greci. Storia, arte, cultura, società, voll. 1-6, Torino 1995-2002. Per l’editore Panini dirige la collana “Mirabilia Italiae”. È membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Istituto Veneto, dell’American Philosophical Society di Philadelphia, dell’American Academy of Arts and Sciences e delle Accademie di Francia, di Berlino, di Baviera e del Belgio. Ha tenuto le “Isaiah Berlin Lectures” all’Ashmolean Museum di Oxford e le “Mellon Lectures” alla National Gallery di Washington, e ha avuto la Cátedra del Museo del Prado a Madrid. È Presidente del Consiglio Scientifico del Louvre. Cieli d’Europa. Cultura, creatività, uguaglianza (2017) è il suo ultimo lavoro editoriale.
Mediterraneo
GIORGIO AGNISOLA

Critico d’arte, giornalista, saggista. Insegna Arte Sacra presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sez. San Luigi, presso cui è condirettore della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia. Collabora da molti anni alle pagine culturali del quotidiano “Avvenire” e in particolare alla pagina “Arte” e al supplemento mensile di itinerari, arte e cultura “Luoghi dell’infinito”. Ha operato a lungo come consulente d’arte moderna e contemporanea presso i Paesi francofoni d’Europa. Ha scritto numerosi libri. Tra gli ultimi, Viaggio nell’opera, vedere e sentire l’arte, Moretti & Vitali 2005, La pietra e l’angelo, Guida 2007, L’oltranza dello sguardo, Il pozzo di Giacobbe 2010. E’ membro dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte e della Société Internationale de Psychopathologie de l’expression.

SERGIO TANZARELLA

Professore di Storia della Chiesa, Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale
Ordinario di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, sezione San Luigi, dove ha diretto l’Istituto di Storia del cristianesimo, Sergio Tanzarella (classe 1959) è Professore invitato presso l’Università Gregoriana di Roma. Tra le sue pubblicazioni: La purificazione della memoria. Il compito della storia tra oblio e revisionismi (Bologna, 2001); Gli anni difficili. Lorenzo Milani, Tommaso Fiore e le “Esperienze pastorali” (2007), che ha vinto il Premio “Feudo di Maida” e il Premio Città di Siderno “Armando La Torre”; La parrhesia di don Lorenzo Milani, (2017). Ha diretto il Dizionario storico delle diocesi della Campania (2009). Con Valerio Gigante e Luca Kocci, ha pubblicato La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima guerra mondiale, (2018).

JOSÉ JIMÉNEZ

Professore di Teoria ed Estetica delle Arti, Universidad Autónoma di Madrid

MEDITERRANEO. IL SOGNO DELL’ACQUA PRIMORDIALE

Nel territorio del simbolo, le acque sono una delle forme più intense di rappresentazione del mistero, dello sconosciuto. Sopra tutto, le acque del mare. In un percorso aperto atraverso la letteratura, l’arte, e il pensiero, MEDITERRÁNEO: IL SOGNO DELL’ACQUA PRIMORDIALE traccia un disegno delle acque del mare come fonte della vita. Vedremo così un set di riferimenti e di interrogativi sulla concezione simbolica delle acque come limite della vita, e la sua associazione nella nostra tradizione culturale col Mediterraneo come acqua primordiale.

Nato a Madrid nel 1951, a soli 24 anni José Jiménez entra come professore presso l’Università Autonoma di Madrid, dove ha proseguito la sua carriera accademica dopo aver conseguito il dottorato. Dal 1983 detiene la cattedra di Teoria ed Estetica delle Arti presso la suddetta Università. È stato Professore-ricercatore alla “Freie Universität” di Berlino dal 1 marzo al 31 maggio 1986; promotore e Direttore dell’Istituto di estetica e teoria delle arti, dal 1988 al 1995, nonché membro del Comitato direttivo dell’Associazione internazionale di studi estetici (1988-1992); Direttore dell’Istituto Cervantes di Parigi dall’ottobre 2004 al luglio 2007, dove ha sviluppato un programma di mostre d’arte contemporanea; dal 2007 al 2009 è stato nominato dal Ministro della Cultura spagnolo, Direttore generale di Belle arti e dei Beni culturali per il Governo della Spagna. Nel 2011, il Governo francese lo ha nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettre, in riconoscimento del suo lavoro. Nel 2006 la Società Italiana di Estetica gli ha conferito il Premio Europeo di Estetica per la sua Teoria dell’arte. Da ottobre 2010, cura il blog www.inmaterial.com. Tra le pubblicazioni: L’angelo caduto. L’immagine artistica dell’angelo nel mondo contemporaneo (1982); L’Estetica come utopia antropologica. Bloch e Marcuse (1983); Corpo e tempo L’immagine della metamorfosi (1993); Immagini dell’uomo. Fondamenti di Estetica (1998. Nuova edizione, riveduta e molto ampliata, 2017); Teoria dell’arte, (2002); Critica in atto. Testi e interventi sull’arte e gli artisti contemporanei spagnoli (2014). È prevista l’apparizione di un nuovo libro: Critica del mondo immagine, per il prossimo mese di maggio.

JEAN-PAUL HERNANDEZ S.I.

Professore associato, Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi

LE TEOLOGIE DELLO SPAZIO SACRO NEL MEDITERRANEO

Nelle tre religioni monoteistiche che si affacciano sul Mediterraneo osserviamo una tensione fra l’interpretazione dello spazio sacro (inteso come architettura sacra) e l’interpretazione sacra dello spazio (inteso come cosmologia). Questa tensione affonda le sue radici nell’origine comune che è la lenta elaborazione di una teologia dello spazio sacro rintracciabile nella Bibbia ebraica. A sua volta, la teologia del santuario ebraico non è impermeabile al ricco sostrato del paganesimo antico mediterraneo e medio orientale, ma ne è piuttosto una singolare variante. Questa linea di continuità fra il paganesimo antico e l’attualità, che passa attraverso la rielaborazione biblica, spiega perché nell’attualità gli edifici religiosi intorno al Mediterraneo sono sempre più ricercati dall’uomo post-secolare per comprendere se stesso come “spazio sacro”.

Gesuita, Jean Paul Hernandez nasce a Berna nel 1968. Studia Lettere a Friburgo, Filosofia a Padova e Teologia a Napoli. Dopo l’ordinazione, nel 2002, consegue il dottorato in Teologia sistematica a Francoforte per poi dedicarsi all’evangelizzazione, alla spiritualità e all’insegnamento. A Bologna ha dato inizio alla rete di comunità giovanili “Pietre Vive”, ormai presenti in più di 30 città italiane, pensate per annunciare il Vangelo attraverso la bellezza dell’arte cristiana: con l’accoglienza, la preghiera e le visite guidate gratuite le “Pietre Vive” fanno sperimentare lo spazio sacro cristiano come luogo dell’incontro con Dio. Attualmente vive a Napoli e insegna alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Collabora anche con altri atenei. Tra le sue pubblicazioni, Nel grembo della Trinità. L’immagine come teologia, nel battistero più antico d’Occidente (2004), Il corpo del nome. I simboli e lo spirito della Chiesa madre dei gesuiti (2011), Ciò che rende la fede difficile. Vademecum per pellegrini che si stancano spesso (2013), Sul male. Del grido che Giobbe osò e della risposta che Dio gli diede (2017).
GIOVANNI CURATOLA

Professore ordinario di Archeologia e Storia dell’arte musulmana Università degli Studi di Udine

ARTE ISLAMICA IN ITALIA E NEL MEDITERRANEO: I MATERIALI ARTISTICI

Le relazioni fra le varie sponde del Mediterraneo sono state, anche a livello artistico, intense e proficue per un lungo lasso di tempo, ossia più secoli. Poco sappiamo, o meglio, poco abbiamo indagato circa i materiali che dall’Europa meridionale per secoli hanno viaggiato verso le altre sponde del mare nostrum, sebbene qualche classica ricerca sia ancora oggi fonte imprescindibile. Ci soccorrono i documenti, ma assai poco le opere; sappiamo che i tessili hanno costituito la merce di scambio più importante, con una significativa inversione di tendenza: nel Trecento sono i lampassi orientali a venire tesaurizzati in Europa, mentre nel Quattrocento sono le manifatture italiane ad esportare tali beni. La produzione ceramica islamica – per qualità tecnica e artistica – sarà talmente superiore in epoca medievale a quella locale che saranno davvero notevoli le importazioni di manufatti dalle terre dell’Islam (anche quello occidentale, iberico), per tutto il secondo Quattrocento e la metà del Cinquecento (vasellame cosiddetto ispano-moresco). Metalli, vetri, cristalli di rocca, tutti meritano una menzione, ma anche considerazioni a parte. Ma quello che circolava maggiormente quale manufatto di prestigio e status symbol era il tappeto. Mai quelli persiani (fino agli inizi del XVII secolo), bensì quelli di produzione anatolica, siriana (problematica ancora assai dibattuta quella dell’esistenza di una locale manifattura), ed egiziana, ovvero i tappeti provenienti dai due imperi (mamelucco e ottomano), egemoni nei rapporti con l’Occidente.

Nato a Firenze nel 1953, Giovanni Curatola si laurea con lode in Lingue e Letterature Orientali presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Cà Foscari di Venezia, perfezionandosi, dopo la laurea, a Londra e Oxford. Professore ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte Musulmana presso l’Università di Udine, tiene corsi anche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il suo lavoro di ricerca è conosciuto a livello internazionale: nel 1993 organizza la più importante mostra dedicata all’arte islamica in Italia, “Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia”, tenutasi a Venezia. Fra il 2003 e il 2004 ha lavorato in Iraq, per conto del Ministero degli Affari Esteri, alla salvaguardia dei siti archeologici e del Museo Nazionale. Fra le numerose pubblicazioni, si ricordano Iran. L’arte persiana, con G. Scarcia (2004), la cura del volume Iraq. L’arte dai sumeri ai califfi (2006), L’arte persiana (2008), Iran. Arte Islamica (2018).
ANDRÉ VAUCHEZ

Professore emerito di Storia Medievale, Università di Paris-Nanterre

IL RUOLO DEI SANTUARI NELLE RELIGIONI ABRAMITICHE

Fino a una epoca non lontana, gli studiosi hanno trascurato lo studio dei santuari, considerandoli come un fenomeno marginale nel quale si esprimevano soprattutto le aspirazioni, spesso materialistiche, della cosiddetta « religione popolare ».Di recente tuttavia, gli storici e gli antropologi hanno cominciato ad interessarsi di più a questi « loghi sacri » che si ritrovano in tutte le religioni del mondo mediterraneo (ebraismo, cristianesimo, islam) e che, ben lungi da scomparire, conoscono oggi una nuova fioritura. Ma bisogna intendersi sulla natura esatta dei santuari: ogni luogo di culto, chiesa o moschea, non è un santuario. Perché si possa parlare di santuario, bisogna che vi si trovi anche un oggetto – tomba o reliquie – che ricordi la memoria di una persona ritenuta santa o di una ierofania, cioè di una manifestazione straordinaria del sacro; ci si vuole anche almeno una festa annuale e, spesso, un pellegrinaggio che sia in grado di attrare un flusso di gente all’occasione di certe ricorrenze. Infine – last but not least – vi si verificano dei miracoli, il più spesso di guarigione ma non solo, che concorrono alla fama e all’irradiamento del santuario. Perciò i santuari non sono solo dei luoghi d’incontro privilegiato col sacro, ma anche des «markers» dell’identità dei gruppi religiosi o etnici che vi si radunano. Tale era per esempio, al livello locale, il caso dei santuari di confine, che segnavano il passaggio del territorio di una comunità a un’altra e costituivano dei luoghi d’incontro tra le popolazioni di due paesi o città, dove si negoziavano degli accordi di pace pubblica o privata, nonché delle alleanze matrimoniali tra i diversi gruppi familiari. Questo ruolo è legato al fatto che il santuario è un territorio a parte, intagliato («temenos» in greco, sacer in latino) nell’ambiente naturale e paesaggistico. Si tratta di una porzione di spazio ben limitata, anche se questi limiti hanno potuto variare col passare del tempo. Il luogo sacro infatti non è proprietà degli uomini ma di Dio e dei santi che vi si venerano. Perciò il suo spazio è ritenuto inviolabile e tutti quanti vi si rifugiavano godevano del diritto di asilo. Nel mondo mediterraneo, esistono anche dei santuari condivisi, cioè frequentati da uomini e donne di diverse religioni. E il caso, nel Medio Oriente, di alcuni santuari legati al culto della Vergine Maria e della Santa Famiglia, ugualmente venerati e frequentati dai cristiani e dai musulmani.

Classe 1938, André Vauchez è uno dei più importanti medievisti francesi. Ha studiato all’ École normale supérieure e all’École française de Rome. La sua tesi, sostenuta nel 1978, fu pubblicata in francese nel 1981 (La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Age) e in inglese nel 1987 (Sainthood in the Later Middle Ages), divenendo un punto di riferimento per le ricerche sull’argomento. È stato Direttore degli Studi medievali dell’École française de Rome (1972–1979), ricercatore presso il Centre national de la recherche scientifique e Professore di Storia medievale presso l’Università di Rouen (1980–1982) e l’Università di Parigi X Nanterre (1983–1995) presso la quale è attualmente Professore emerito, Direttore dell’Ecole française de Rome dal 1995 al 2003. Ha ricevuto il Premio Balzan di Storia medievale nel 2013. Tra le sue pubblicazioni: La spiritualità dell’Occidente Medioevale (1975); La santità nel Medioevo (1989); Francesco d’Assisi, tra storia e memoria (2009); Caterina da Siena. Una mistica trasgressiva (2018).
ELENA PONTIGGIA

Professore ordinario di Storia dell’Arte Accademia di Brera e Politecnico di Milano

LONTANI E VICINI. ESPERIENZE DELL’AFRICA NEL NOVECENTO ITALIANO

Il viaggio degli artisti nell’Africa “mediterranea”, dal Marocco all’Algeria, dalla Tunisia alla Libia, è tipico della cultura romantica, a cominciare da Delacroix. E’ una scoperta che può essere visionaria, come nei pittori orientalisti e in Ingres, ma è lontana da sentimenti paternalistici o, peggio, razzisti. Dell’Africa, anzi, ci si innamora.
L’interesse per l’arte “negra” (cioè afro-oceanica, come allora veniva chiamata) dà luogo al primitivismo, vale a dire un’arte che, da Picasso a Derain, imita l’espressionismo, l’assenza di canoni naturalistici e la spiritualità dell’arte “primitiva”. E anche qui il termine “primitivo” nasconde una profonda ammirazione: le statue africane sono considerate dai protagonisti delle avanguardie più belle della Venere di Milo.
Anche l’esperienza folgorante della luce dell’Africa si riverbera sulle opere degli artisti. Il viaggio di Klee in Tunisia, per esempio, significa per lui la scoperta del colore. “Io e il colore siamo divenuti una cosa sola. Sono pittore” scrive nel 1914, durante il suo viaggio a Tunisi.
All’Africa romantica, carica di emozioni cromatiche, subentra nel Novecento Italiano un’Africa metafisica, grandiosa e immobile, che si esprime nel saggio Tunisiaca di Margherita Sarfatti (1923-24) e nelle opere di Funi per la Libia dei tardi anni Trenta.
La relazione esamina, attraverso alcuni esempi emblematici, un tale incontro di culture diverse, fonte di arricchimento artistico e culturale.

Milanese, classe 1955, si è laureata in Filosofia alla Statale di Milano con una tesi sull’estetica di Nietzsche. Attualmente è Professore ordinario di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Brera e docente a contratto presso il Politecnico di Milano. Dal 2011 scrive su “La Stampa”. Si occupa in particolare dell’arte italiana e internazionale fra le due guerre e del rapporto tra modernità e classicità. Nel 1996 ha vinto il Premio “San Valentino d’oro” per la Storia dell’arte e nel 2009 il Premio Carducci con Modernità e classicità. Il ritorno all’ordine in Europa dal dopoguerra agli Anni Trenta. Tra le principali pubblicazioni: Edward Hopper. Scritti, interviste, testimonianze (2000) La Nuova Oggettività tedesca, (2002) Il Novecento Italiano (2003), La grande Quadriennale. 1935: la svolta dell’arte italiana, con C. F. Carli (2006), Mario Sironi. La grandezza dell’arte, le tragedie della storia (2015), Renato Birolli, Figure e luoghi 1930-1959, con V. Birolli (2016), Maria Lai. Arte e relazione (2018).

ANDREA DALL’ASTA

Direttore della Galleria San Fedele di Milano
Andrea Dall’Asta nasce a Parma nel 1960. Si laurea in architettura a Firenze nel 1984, con una tesi sull’architetto barocco Gherardo Silvani. Nel 1988 entra nella Compagnia di Gesù. Presso il Centre Sèvres di Parigi consegue la laurea in teologia nel 1999 e nel 2003, dopo un anno di preparazione (Dea) alla Columbia University di New York, il dottorato in Filosofia estetica. Dal 2002 è Direttore della Galleria San Fedele di Milano. Nel 2004 ha ripristinato il celebre Premio San Fedele per giovani artisti, fondato nel 1951 da padre Arcangelo Favaro. Dal 2008 è Direttore della Raccolta Lercaro di Bologna. È autore di numerosi saggi. Innumerevoli sono i suoi articoli apparsi su Civiltà Cattolica. Scrive su alcune testate giornalistiche, come InsideArt. Tra il 2012 e il 2013 ha tenuto una rubrica sul quotidiano Avvenire. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Dio alla ricerca dell’uomo. Dialogo tra arte e fede nel mondo contemporaneo, (2009); Nascere. Il Natale nell’arte, (2012); Dio chiama con arte. Parole e immagini vocazionali, (2018).

ISMAIL TASPINAR

Direttore dell’Istituto di Scienze Sociali Università di Marmara

RELATIONS INTERCULTURELLES DANS L’ESPACE MEDITERRANÉEN: EXEMPLE DE LA TURQUIE

L’espace Méditerranéen est le berceau de plusieurs civilisations. En passant par l’antiquité, la culture grecque, zoroastrienne, romaine, juive, chrétienne, manichéenne et islamique tous confondus ont, d’une manière ou d’une autre, contribué à ce tissu culturel.
L’histoire de la Turquie est aussi l’histoire du dialogue interactif de ces cultures et civilisations. Même si l’Islam a été la culture de base de la Turquie pendant des siècles, on ne peut penser ni comprendre l’art et l’architecture créés sur le sol de ce territoire sans connaître la contribution de ses citoyens de différentes confessions.
Peut-on aujourd’hui parler de l’intérêt des musulmans envers ces confessions? La question auquelle cet exposé va essayer de répondre et de comprendre est la suivante: Comment sont de nos jours, au niveau cognitive, les relations des musulmans de Turquie envers les croyances et les confessions des membres de ces religions.’ Pour répondre à cette question, il faut d’abord essayer de faire une esquisse des recherches réalisées dans ce domaine pendant les vingt dernières années. Le résultat nous démontre que les intérêts envers ces religions et ces confessions ont changés tant en qualité qu’en profondeur au fur et à mesure que l’intéraction des membres de ces cultures a augmenté.

Ismail Taspinar è nato nel 1969 in Belgio. Si è laureato presso l’Università di Marmara, Facoltà di Teologia nel 1994. Nel 1999 è stato nominato assistente alla Facoltà di Teologia dell’Università di Marmara. Ha condotto ricerche sul cristianesimo, in particolare sul cattolicesimo, i cristiani orientali e le relazioni interreligiose presso l’Istituto per le religioni e le culture dell’Università Gregoriana, a Roma, in Italia. Attualmente, Taşpınar è direttore dell’Istituto di Scienze Sociali della Marmara University. Tra le opere pubblicate: L’altro lato del muro: la credenza dell’aldilà nel giudaismo secondo le fonti ebraiche (2003); La critica al cristianesimo di Hacı Abdullah Petrici (2008); Pellegrinaggio nelle religioni orientali: induismo e buddismo (2014); Religione e Fenomenologia Giudaismo e Cristianesimo (2017); Le religioni includono la storia e il simbolismo (2017); Credenze e movimenti religiosi dalla storia al presente (2018); Religioni e Denominazioni nello specchio della storia (2018).

CRISTIANA COLLU

Direttrice Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma

MARIO BOTTA

Architetto, Professore all’Accademia di architettura di Mendrisio

L’ARCHITETTURA SACRA NELLA CULTURA MEDITERRANEA

L’architettura del sacro dà forma al silenzio, al “non detto”, invita alla meditazione, è luogo carico di significati simbolici e metaforici capaci di evocare condizioni oltre il “finito”. Gli edifici di culto con i quali l’architetto si è confrontato negli ultimi decenni presentano un’intrinseca tensione fra la terra e il cielo; una condizione di accoglienza, di silenzio e di meditazione carica di memorie ancestrali dove il territorio della memoria assume configurazioni della contemporaneità. Sono
spazi scaturiti da un dialogo con il contesto dove è presente la luce mediterranea, i materiali e forti geometrie che creano emozioni e tensioni dentro il fatto architettonico stesso. Le opere realizzate dall’architetto Botta (la Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, la Cappella Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro, la Cattedrale di Evry, la Sinagoga Cymbalista di Tel Aviv, la Chiesa
Papa Giovanni XXIII a Seriate, la Chiesa del Santo Volto a Torino, la Cappella Granato nella Zillertal, per citare alcuni esempi) testimoniano l’impegno nella ricerca di soluzioni progettuali capaci di portare ad una sintesi e ad una misura dove l’uomo possa sentirsi protagonista nel silenzio della propria solitudine e nel contempo partecipe diretto di un rito collettivo.

Nato a Mendrisio, in Svizzera, nel 1943, Mario Botta si laurea nel 1969, presso l’Istituto Universitario di Venezia: relatori Carlo Scarpa e Giuseppe Mazzariol. Durante il periodo trascorso a Venezia, ha occasione di incontrare e lavorare per Le Corbusier e Louis I. Kahn. Nel 1970 apre il proprio studio a Lugano e, da allora, svolge parallelamente anche un’intensa attività didattica con conferenze, seminari e corsi presso scuole d’architettura in Europa, Asia, negli Stati Uniti e in America Latina. Il suo lavoro è stato riconosciuto e premiato a livello internazionale. Nel 1996 è tra i fondatori dell’Accademia di architettura di Mendrisio, dove ha insegnato fino al 2018 e ricoperto la carica di direttore per due mandati. Il suo impegno come architetto e professore, unito al ruolo di Presidente della giuria del BSI Architectural Award e all’attuale impegno per il Teatro dell’architettura, gli permette di trasmettere la conoscenza di una professione che è, prima di tutto, la sua passione. Da ricordare il ciclo di conferenze “Mare Nostrum”, promosso dall’Accademia di architettura nel biennio 2011-2012, e dedicato al ruolo della città europea, “nell’arcipelago mediterraneo”, in un tempo storico caratterizzato da importanti stravolgimenti ambientali e sociali.
Galleria MediterraneoPAOLO GIULIERINI

Direttore Museo Archeologico Nazionale di Napoli

IL MANN CENTRO DI CULTURA DEL MEDITERRANEO ANTICO

Il Golfo di Napoli è naturalmente vocato, fin dai tempi delle prime frequentazioni dei Greci, agli incontri di popoli e civiltà. Nelle collezioni del Museo si respira ovunque il fascino dell’arte greca, egizia o della contaminazione delle arti. Si pensi, ad esempio, alla sala dei culti orientali che ci parla della presenza, dalla tarda età repubblicana ai primi secoli dell’impero, di colonie di popoli di origini lontane (Egizi, Nabatei, Ebrei) e religioni esotiche (culti di Iside, Giove Sabazio, Mitra) che coabitano con l’antica religione pagana e, per molto tempo, con quella cristiana. Il coacervo di culture, la stratificazione di civiltà che l’Archeologico permette di apprezzare attraverso i propri reperti, sono una straordinaria occasione per proporre ai visitatori di oggi, specialmente ai più giovani, un approccio complesso e critico al mondo antico, in parte anche desacralizzandolo, così da delinearne aspetti e casi vicini ai problemi del contemporaneo. Possiamo così aiutare a guardare le cose anche con gli occhi dell’altro, del più debole, dello sconfitto: l’Antico visto dunque non solo con l’occhio di Roma ma anche delle popolazioni sottomesse. Solo a quel punto un Museo Archeologico può diventare estremamente contemporaneo e suggerire percorsi e dibattiti per evitare errori già compiuti, paventando l’esigenza di una fratellanza mediterranea quanto mai necessaria in questo momento che non può non ripartire dalla conoscenza delle reciproche radici.

Nato a Cortona nel 1969, Paolo Giulierini si laurea in Lettere classiche, indirizzo Etruscologia e Antichità classiche, presso l’Università di Firenze, dove poi si specializzerà in Archeologia classica (Etruscologia). Inizia ad occuparsi di gestione dei Beni culturali per il Comune di Foiano e per quello di Cortona dove dirige anche il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città. Ricopre anche incarichi di docenza presso la Scuola Superiore Normale di Pisa e l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2015 è direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Nel 2018 ha ricevuto il riconoscimento Art Tribune come “Migliore Direttore di Museo” per aver riattivato in chiave contemporanea l’antico. Nel 2017, Art Tribune aveva già premiato il Museo Archeologico Nazionale di Napoli come “Migliore Museo italiano”.
FRANCO FERRAROTTI

Professore Emerito Università di Roma La Sapienza

MEDITERRANEO

Il Mediterraneo deve diventare per la sua sopravvivenza il mare del dialogo, un dialogo tra soggetti e attori consapevoli della propria identità, laddove l’identità non è un dato fisso ma un processo. Nel vero dialogo nessuno vince, ma si convince e attraverso la convinzione si convive. Il Mediterraneo ha una vocazione tuttora fondamentale per il dialogo. Proprio oggi che il Mediterraneo sembra, rispetto all’Atlantico e rispetto all’interesse crescente per il Pacifico, essere costretto a una posizione ombratile e marginale e di isolamento, la sua lezione storica è più che mai fondamentale, dove l’identità e l’alterità si danno la mano. […] Oggi, proprio alla luce della lezione storica bisogna rivendicare per il Mediterraneo il diritto di umanità. Ogni essere umano è titolare di un diritto di umanità per cui diventa un essere inviolabile. Negarlo, cacciarlo, tenerlo lontano, costringerlo ad annegare significa violare un diritto fondamentale di umanità. Riscoprire il Mare nostrum come mare umanum. (Dalla video intervista in esclusiva per il Convegno “Arte e dialogo nel Mediterraneo” promosso dalla Scuola di Alta Formazione in Arte e Teologia della Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi.)

Torinese, classe 1949, Franco Ferrarotti è oggi il più noto dei sociologi italiani all’estero. I suoi libri sono tradotti in francese, inglese, spagnolo, in russo e in giapponese. Si è interessato dei problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, dei temi del potere e della sua gestione, della tematica dei giovani, della marginalità urbana e sociale, delle credenze religiose, delle migrazioni. Una particolare attenzione è stata dedicata nelle sue ricerche alla città di Roma. Ha sempre privilegiato un approccio interdisciplinare e insistito sull’importanza di uno stretto nesso tra impostazione teorica e ricerca sul campo. Ferrarotti è stato consigliere di Adriano Olivetti, diplomatico, deputato, professore ordinario. Attualmente è Professore emerito Università di Roma La Sapienza. Dialogare o perire (2017), il suo ultimo libro.
ALDO MASULLO

Professore Emerito Università Federico II di Napoli

MEDITERRANEO, MARE INTENSO

La conoscenza in tutte le altre culture fuori del Mediterraneo è stata sempre perseguita per ottenere vantaggi pratici, per ottenere delle soluzioni utili ai problemi fondamentali della vita concreta. Il Mediterraneo è l’unico luogo dove è sorta una civiltà, quella greca, in cui la scienza è stata perseguita non come strumento pratico ma come vera e propria presa di possesso della verità del mondo.[…] Ciò ci fa capire perché forse nel Mediterraneo si prova, quando se ne parla o quando si è vicino alle sue coste o quando lo si naviga, una sensazione che è completamente diversa da quella di ogni altro bacino d’acqua, piccolo o grande, in cui ci si possa trovare a navigare, perché quando si naviga nel Mediterraneo o quando lo si pensa e si pensa alla sua storia e alle storie che sono passate lungo le sue coste si prova un senso di intensità […] come se qui lo spirito umano riuscisse a raccogliersi con la massima forza possibile e a cogliere in quella che i greci chiamavano per la prima volta l’intuizione, l’eidos, la visione delle idee a cogliere la verità dell’essere nella sua totalità, inafferrabile razionalmente e tuttavia presente nella storia quotidiana di ciascuno di noi […]. (Dalla video intervista in esclusiva per il Convegno “Arte e dialogo nel Mediterraneo” promosso dalla Scuola di Alta Formazione in Arte e Teologia della Pontificia Facoltà dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi.)

Aldo Masullo è nato ad Avellino il 12 aprile del 1923. Laureato in filosofia e in giurisprudenza, è attualmente è Professore emerito di Filosofia Morale nell’Università degli Studi di Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Dal 1984 al 1990 è stato direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Napoli. È socio dell’Accademia Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli, dell’Accademia Pugliese delle Scienze. È membro di varie società scientifiche internazionali e del Comitato scientifico della rivista filosofica “Paradigmi”. È insignito della medaglia d’oro del Ministero per la Pubblica Istruzione. È autore di varie centinaia di pubblicazioni, alcune in lingua straniera. Da sempre presente nel dibattito politico e nell’azione civile, è stato membro della Camera dei Deputati, Senatore della Repubblica e Parlamentare europeo.